Adesso, come anticipatovi, e stavolta per ovvie ragioni e con la delibera dei miei familiari, procedo con i dovuti elogi alla SANITA’, facendo, come già fatto pubblicamente a suo tempo, nomi e cognomi.
C’era una volta mio fratello Sergio, un tantino sfigato come me, che si ammalò di una rara malattia che gli distrusse le vie biliari.
Faceva l’operaio, era sposato con una figlia, supertifoso del Chievo, un vero pignolo scassaballe del segno della vergine.
Tale malattia, scoperta in modo del tutto casuale all’età di 39 anni, si chiamava “colangite sclerosante”.
A causa di questa rara malattia, il suo fegato nel volgere di otto anni, si era praticamente distrutto.
Grazie ad un anonimo donatore sessantenne, (sì, aveva proprio 60 anni, il fegato, se in buone condizioni, lo si può donare anche a settant’anni, non si usano solo gli organi dei giovani!) che ha trascorso molto tempo in rianimazione, (sono le uniche informazioni avute), Egli è stato sottoposto ad un trapianto di fegato, ed è ritornato a vivere per altri 10 lunghi felici anni, accanto alla sua famiglia.
Ha ripreso il lavoro, facendo anche i turni di notte, andando a lavorare in bici, il lunedì mattina alle tre e mezzo. Festeggiava due compleanni: uno il 10 settembre e l’altro il 4 marzo, quando gli è stato trapiantato il fegato “nuovo”.
Così, a suo tempo, abbiamo ringraziato pubblicamente i medici del Policlinico di Padova, con una nota pubblicata sul quotidiano “il Mattino”:
“Sergio Moletta ringrazia l’equipe del centro di Trapianto epatico del prof. Maffei Faccioli, il Prof. Gerunda, il dott. Merenda, il dott. Neri, il prof. Crepaldi, la dottoressa Iemmolo, la Dottoressa Destro, tutto il personale medico e paramedico del reparto di Patologia medica 1a, dell’Istituto di Chirurgia 1a del Policlinico di Padova, per avergli ridato, grazie ad un eccezionale intervento, la gioia di vivere.
Verona, 31 Marzo 1996.”
E’ stato a Padova, in quel reparto, che abbiamo ritrovato la fiducia nei medici e nella medicina. E’ stato sempre a Padova che abbiamo finalmente conosciuto dei medici che lavorano per “passione” e non per denaro o vanità o non so che.
Il Prof. Giorgio Enrico Gerunda, adesso opera a Modena, e ricambia sempre personalmente gli auguri di buone feste che mia cognata Laura gli invia ogni anno.
Anche se mio fratello Sergio adesso non c’è più, perché un linfoma schifoso tre anni e mezzo orsono se l’è portato via, dopo tanti anni li ricordiamo con tanta gratitudine e riconoscenza.
Quella notte eravamo in tre, fuori dalla sala rianimazione: mia cognata Laura, mia nipote Barbara ed io. Sergio è entrato alle 19:30 del 3 Marzo in sala operatoria: sembrava uno zombie. E’ uscito alle 11:30 del 4 Marzo. Il prof. Gerunda lo ha operato personalmente e ci ha detto una parola di conforto dopo le tante ore di attesa. Me lo ricordo ancora, mentre scende le scale, con il camice bianco sbottonato e ci viene incontro…
Sergio è stato dimesso dall’ospedale dopo 15 giorni. Sembrava rinato. Era rinato.
E’ rimasto ancora tanti lunghi anni, a farci compagnia ed a scassare le balle.
Ha avuto modo di rinfacciarmi per un bel po’ di anni, quello che era successo una volta in reparto.
Ve lo racconto per alleviare la pesantezza insita nel post, mio malgrado.
In uno dei vari ricoveri a Padova, Sergio era stato sottoposto ad una gastroscopia. Il suo stomaco era come un colabrodo e “trasudava” sangue. Non entro nei dettagli medici, ma comunque era sempre una conseguenza della cirrosi epatica insorta a causa della sua malattia del cucco.
Fatto sta che aveva appena eseguito il summenzionato esame ed io lo stavo assistendo perché mia cognata era a Verona al lavoro.
Devo dire che sono sempre stata un tantino sfigata e mi sono trovata spesso da sola accanto a lui nei momenti più schifosi. E non è che io sia una persona granché coraggiosa, anche se adesso mi sono fatta le ossa (bella questa, detta da una che ha un tumore proprio alle ossa!).
Insomma, dopo che gli era stato fatto questo esame (sospettavano che avesse delle varici o qualcosa di simile, dal momento che era risultato molto anemico) lui stava male e lamentava dolori allo stomaco e nausea. Ricordo che mi chiese di andare a prendere un catino perché stava troppo male e la nausea aumentava sempre di più. Io corsi in bagno e feci appena appena in tempo a posizionargli davanti il catino. E successe una cosa terribile che non dimenticherò mai: vomitò sangue.
Dopo lo choc iniziale di entrambi, lo piantai in asso con il catino in mano e corsi come un’invasata per il reparto a chiamare aiuto. Dopo tornai di corsa da mio fratello, che era sempre nella stessa posa con il catino in mano, e la bocca ancora aperta per lo stupore e lo feci: presi un bicchiere, lo riempii di acqua e……mi versai trenta gocce di lexotan.
Mio fratello, era in punto di morte, ma se fosse morto in quel momento, sarebbe morto ridendo. Infatti mi guardò stralunato (giustamente ripensandoci in seguito) e ridendo mi disse “ma sito deficiente’ nvese de dar un goso de acqua a mì, beito le gose ti par calmarte? Ala, va a dar via el cul!” (traduzione: ma sei deficiente? Invece di darmi un bicchiere di acqua affinché io possa risciacquarmi la bocca, mi pianti qua, con il catino pieno di sangue e ti bevi le gocce di ansiolitico? Ma vai a farti benedire!).
E’ stata dura, ma anche quella volta ce l’ha fatta.
Unico neo: mi ha rinfacciato sino al giorno del suo trapasso, il mio sconsiderato comportamento….
Amen
BUONE FESTE
5 anni fa
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