Lo psichiatra Vittorino Andreoli ha aperto, oggi, la prima giornata del Meeting “L’arte di accompagnare all’incontro con la morte”, organizzato dai guanelliani a Roma, nella Basilica di San Giuseppe a Trionfale (fino a domani). Quello della morte è un “tema sacro”, ha detto Andreoli. E “la sacralità è una dimensione dell’esistenza umana, una categoria della mente che cerca di dare risposte al mistero. E la nostra cultura ha bisogno di sacralità”. Il “carisma dell’opera di don Guanella di accompagnare i morenti al ‘transito’ della morte è una risposta al mistero della morte”. La nostra società, però – ha continuato lo psichiatra – ha “espulso l’idea della morte e perfino l’esperienza della morte”. “L’uomo del tempo presente dimentica il passato, come se non servisse ad una società troppo accelerata, e non comprende il futuro, perché tutto avviene in tempo reale, nell’attimo immediato”. Così, “non c’è tempo per pensare alla morte, per prepararsi a morire, non c’è tempo da dedicare a chi muore. Si muore soli, perché si vive soli. La morte naturale non c’è più. Ci sono, invece, tante morti-spettacolo”, ha continuato Andreoli. Nella nostra società, “non c’è più ‘la’ morte, ci sono morti al plurale, tanti morti-spettacolo”, ha affermato Vittorino Andreoli, al meeting organizzato dai guanelliani a Roma. La morte viene “estetizzata”, “ci sono molte rappresentazioni di morte, nei film, in Tv, nei videogiochi”. “C’è una categoria di videogiochi denominata ‘Killers’: si accumulano punti ‘uccidendo’ sagome umane. Il più bravo è chi ha ucciso di più virtualmente”. E così “i ragazzi imparano a considerare la morte dell’altro come divertente, oppure, interpretano la morte come un atto eroico”. Ma, anche gli adulti non hanno un rapporto sano con la morte”, ha continuato Andreoli. Nella nostra cultura, “la morte è considerata una malattia. Il morente è un malato”. Non vogliamo morire. “Chi ha successo, non vuole perderlo, chi non ce l’ha, vuole conquistarlo. La morte è un ostacolo al potere”. Invece, “la malattia del potere che devasta la nostra società può essere curata solo attraverso una educazione alla morte”. Dobbiamo “imparare a morire – ha detto Andreoli – e conoscere i bisogni del morente per arrivare preparati all’incontro con la morte, che arriva, perché siamo mortali”.
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