Una volta, in tempi non sospetti, ebbi una discussione con un "bissino-sanguemisto nazischin", a proposito dell'uso, per i malati oncologici o molto sofferenti (vale a dire per quelli che hanno dei dolori di tipo cronico, che cioè se li devono cuccare per sempre), della "MORFINA".
Il "bissino-sanguemisto nazischin", affermò in tale occasione che lui mai avrebbe fatto ricorso all'uso della "morfina", anche in punto di morte perché, mi disse “voglio conservare la mia dignità di uomo!" (salvo poi perderla ogni sabato sera andando ad ubriacarsi con i suoi amici destroidi nei pub).
Ora voglio rispondere pubblicamente a Lui, che forse mi legge, ed a tutte le altre persone che ancora credono alla seguente equazione: MORFINA=DROGA=TOSSICODIPENDENTI=COMUNISTI=ENCEFALOPATICI=APPESTATI=RINCOGLIONITI=CANDIDATI ALL’OBITORIO
Cari IGNORANTAZZI in materia, beati voi, curatevi pure con i fiori di bach,o proppoli, con la meditazione trascendentale, l'omeopatia, l’aloe e gli infusi di erbe aromatiche, se vi fa passare il dolore!
Ma non rompete i cabasisi alle persone che HANNO UN DOLORE FISICO INTENSO che gli rende la vita una merda!
E leggetevi la nota informativa di sotto integralmente riportata.
Io mi curo con la MORFINA, ho un dolore cronico di tipo ocologico, quando la prendo non vedo padre pio o la madonna, riesco a connettere e non me ne frega un emerito cazzo, anche se dovessi diventare una MORFINO-DIPENDENTE! (non temo di “rovinarmi” la salute, ho delle altre priorità da occuparmi che delle eventuali "crisi da astinenza" che si dovessero in seguito manifestare col passare degli anni (tipo cercare di camminare, combattere le metastasi ossee e festeggiare l'anno che verrà, se ci arrivo!)
L’importante è che il cane che mi rosicchia le ossa, la finisca di tormentarmi!
E la dignità sicuramente l’ho persa in altre occasioni, ad esempio quando ho espletato le mie funzioni fisiologiche semi solide, davanti ad altri pazienti o quando ho passato delle ore a frignare ed a lamentarmi ed urlare dalla disperazione per il dolore!!!!!!
O perbacco, vediamo se la finisco di sentire stronzate sull'argomento!
Quanto riportato, in ogni caso, mi è stato ampiamente illustrato e confermato dagli ONCOLOGI che mi seguono, non da dei saccenti paraculi che parlano perchè hanno la bocca!
Cerchiamo, ogni tanto, di COLLEGARLA AL CERVELLO!
Olè
Tratto da:
http://www.dialogosuifarmaci.it/pdfDB/CO-200309-5_594.pdf
La disponibilità, l’accessibilità e l’efficacia dei metodi attuali per prevenire e trattare il dolore rendono ogni medico moralmente obbligato a conoscere molto bene come utilizzare gli analgesici, in particolare la MORFINA, che rappresenta un approdo quasi obbligato nel trattamento del dolore moderato-grave.
Il consumo annuale di questo farmaco, assunto a livello internazionale come indicatore sensibile d’efficacia dei programmi di controllo del dolore oncologico, è ancora in Italia piuttosto basso, e ciò in conseguenza e convergenza di vari fattori. Superati negli ultimi tempi alcuni di essi, in particolare le difficoltà prescrittive legate ad una legislazione sugli oppiodi particolarmente restrittiva, restano nei confronti della morfina credenze, pregiudizi e comportamenti erronei che ne limitano purtroppo l’impiego. DI SEGUITO NE SONO ELENCATI ALCUNI, PER LA MAGGIOR PARTE INFONDATI SUL PIANO SCIENTIFICO E DETTATI SOPRATTUTTO DA LIMITI CULTURALI.
Ad ognuno di essi il presente articolo proverà a dare una risposta, nella speranza che ciò sia di qualche aiuto a chi si accinge a prescrivere la morfina e a chi la deve assumere, superando riluttanze o falsi timori.
1. Nel trattamento del dolore cronico moderato-grave la morfina è l’ultima opzione e va riservata a casi estremi, ai malati terminali
Pensare che la morfina sia da riservare a casi estremi, ai malati terminali, è un pregiudizio da rimuovere. In presenza di dolore cronico moderato-grave non controllabile dai primi due gruppi di farmaci analgesici della scala OMS (analgesici non oppiodi, oppioidi deboli), il ricorso alla morfina diventa un obbligo (box 1).
Non ha senso pertanto l’affermazione di riservare tale farmaco solo a coloro che hanno davanti un breve periodo di vita o a quanti sperimentano dolori eccezionalmente intensi. La morfina può risultare utile anche per ridurre o eliminare dolori moderati-gravi durante il decorso di una malattia che si concluderà con la guarigione.
2. Prescrivere morfina significa per il medico dare per spacciato il paziente e per quest’ultimo pensare alla morte
Quest’affermazione del tutto deviante è frutto di un atteggiamento culturale erroneo che associa la terapia an talgica a base di morfina con la resa terapeutica e la morte, l’ultima spiaggia da riservare ai momenti estremi.
Succede invece che i pazienti desiderino morire proprio quando il dolore è continuo, intenso e lacerante, mentre quando la sofferenza è sotto controllo, anche la pulsione verso la morte viene meno. Il miglioramento della qualità di vita in seguito alla terapia con analgesici è un dato universalmente accertato. Il ritmo sonno/ veglia tende a regolarizzarsi, l’appetito aumenta gradualmente, la capacità cognitiva e spesso anche quella lavorativa sono conservate ad un buon livello, si diventa più autonomi: in poche parole, il malato riacquista la voglia e la dignità di vivere precluse dalla sintomatologia dolorosa in atto.
Uso della morfina - ignoranza, pregiudizi infondati e comportamenti erronei
“Non controllare il dolore in modo ottimale “L’incapacità di prevenire o trattare il dolore è da considerarsi sul piano morale e legale va considerata una dimostrazione lampante una negligenza colposa”. di un’assistenza medica scadente ed attualmente inaccettabile”.
3. La morfina non è in grado di controllare il dolore cronico grave, tutt’al più lo può attenuare
Questa è un’opinione che, se generalizzata, può diventare fonte di comportamenti erronei, ad esempio inducendo il medico a non incrementare il dosaggio della morfina quando la malattia progredisce e il dolore aumenta, lasciando il paziente in una condizione di grave sofferenza.
Nella realtà, il dolore nocicettivo che più frequentemente si incontra e che consegue alla stimolazione di recettori specifici del dolore (nocicettori) situati in strutture somatiche o viscerali, risponde generalmente bene a tutte le forme di terapia farmacologica e quindi anche agli oppioidi.
Il dolore neuropatico invece è di norma difficile da trattare: gli analgesici sono spesso inefficaci, compresa la stessa morfina; questo tipo di dolore è causato da modificazioni della risposta fisiologica di neuroni del sistema somato-sensoriale centrale o periferico dovute alla stimolazione cronica o ad una lesione del tessuto nervoso.
Esempi di dolore neuropatico sono il dolore post-erpetico, la nevralgia del trigemino, il dolore da neuropatie
4. La morfina va riservata solo al trattamento del dolore cronico da cancro
Anche questa affermazione non è corretta.
Esistono in commercio numerosi analgesici non oppioidi efficaci in condizioni algiche non di origine tumorale, ma anche la morfina o altri oppioidi possono risultare di particolare utilità (di fronte a forme dolorose imponenti e difficilmente controllabili). Ad esempio, la morfina è utilizzata nei pazienti gravemente ustionati, nei quali il dolore rappresenta un problema per quasi tutta la loro degenza in rapporto sia alla profondità ed estensione della lesione, sia a interventi, a volte spiacevoli, ma necessari da attuare. Inoltre, può essere impiegata in quella che va sotto il nome di Failed Back Surgery Sindrome (sindrome dolorosa cronica in pazienti sottoposti ad intervento per ernia discale), in altre condizioni altiche (per esempio, nel dolore acuto da infarto miocardico) e anche in condizioni non dolorose come nel trattamento dell’edema polmonare acuto (in associazione ai diuretici drastici). Il ricorso alla morfina o ad altro dovrà comunque avvenire dopo attenta diagnosi del tipo localizzazione ed intensità del dolore, nonché dopo il fallimento di farmaci non oppioidi o di oppioidi deboli(scheda 1).
5. La morfina, per un dolore cronico da moderato a intenso, va somministrata solo su richiesta del paziente o al bisogno o secondo necessità
È un’affermazione del tutto priva di razionalità.
In presenza di una sintomatologia dolorosa cronica la somministrazione di singole dosi di morfina ad intervalli regolari fa sì che si raggiunga e si mantenga costante nel tempo la concentrazione del farmaco nell’organismo, con conseguente analgesia efficace e continua. Se invece la somministrazione di morfina è effettuata su richiesta del paziente, l’attesa-insorgenza-presenza del dolore causa inutili e gravi disagi di tipo fisico e psichico. È pertanto un imperativo del curante agire in modo da impedire la ricomparsa del dolore, cosa possibile mediante la somministrazione della morfina ad ore prefissate, eventualmente prescrivendo - nei casi di improvvisa riacutizzazione del dolore in corso di terapia di mantenimento - una dose supplementare della preparazione ad effetto rapido. In questo modo è anche possibile attenuare la memoria del dolore: una prevenzione costante della sintomatologia comporta una riduzione significativa della paura, dell’ansia, e quindi della memoria del dolore.
6. Se la morfina viene somministrata troppo precocemente non resta poi altra terapia contro il dolore
Fortunatamente la morfina non presenta l’effettotetto, il che significa che si possono prevedere aumenti progressivi e graduali del dosaggio con una buona correlazione dose-effetto senza che si abbia aumento proporzionale degli effetti collaterali. L’unico problema da tenere in debita considerazione è la stipsi, che però può essere prevenuta con opportuni presidi terapeutici.
Gli analgesici non oppiodi (ad esempio FANS e paracetamolo), buprenorfina e pentazocina presentano invece l’effetto-tetto, per il quale, oltre un certo dosaggio, non aumenta l’efficacia ma aumentano solo gli effetti collaterali.
Va anche ricordato che le dosi analgesiche efficaci variano considerevolmente da paziente a paziente. Tale variabilità è dovuta non solo alla diversa intensità del dolore e alla soggettività della sua percezione, ma anche alla grande variazione individuale nel metabolismo del farmaco. Per ottenere un adeguato effetto analgesico, alcuni pazienti possono necessitare di dosi progressivamente e gradualmente incrementali, precisando che per la morfina non vi è una dose standard né una dose limite, ma solo una dose individuale da titolare sulle necessità del paziente.
7. La morfina per via orale non è un analgesico efficace o, al massimo, è modestamente efficace
Non è vero. Al contrario, l’utilizzo di morfina per via orale è assai efficace e sicuro, tanto da essere considerato preferibile dall’OMS e dalle organizzazioni mediche nel trattamento del dolore cronico di intensità moderata-grave.
In molti studi clinici è stato dimostrato che la morfina orale è efficace in oltre l’80% dei pazienti con dolore da cancro in stadio avanzato e risulta ben tollerata nell’85-90% dei trattati. Condizioni fondamentali per il conseguimento di un buon risultato sono che la morfina sia dosata in modo appropriato, si ricorra all’inizio del trattamento (nella fase di adattamento farmacologico) ad una formulazione orale ad azione pronta, così da raggiungere in tempi brevi la dose terapeutica efficace eliminando le esacerbazioni altiche acute e, una volta raggiunto il controllo del dolore, si prescriva una formulazione di morfina orale a lento rilascio (altrimenti detta a rilascio controllato o a lunga durata d’azione, in inglese long-acting) per una terapia di mantenimento.
Rispetto alla terapia parenterale, quella orale con morfina a lunga durata d’azione è molto più semplice da attuare perché:
• riduce il fastidio della somministrazione attraverso vie poco gradite al paziente;
• consente di diminuire considerevolmente il numero di somministrazioni giornaliere;
• elimina le potenziali complicazioni di ripetute iniezioni;
• consente una concentrazione costante del farmaco nell’organismo.
Cosa di non poco conto, da tenere in debita considerazione, è infine la maggior autonomia che la somministrazione orale offre al paziente, che non dipende da chi è incaricato di eseguire la terapia, come avviene quando si usa la via parenterale. Il malato impara ad autosomministrarsi il farmaco esercitando un controllo ottimale della sua sofferenza.
8. È possibile controllare il dolore cronico particolarmente grave solo con somministrazione
per via parenterale della morfina
Nel trattamento della sintomatologia dolorosa, specie se d’intensità moderata-grave, si è spesso erroneamente convinti che solo la somministrazione parenterale degli analgesici risulti efficace, tanto che si è spesso reticenti a prescrivere questi farmaci per via orale ritenendo che non possano essere assorbiti in quantità sufficiente ad eliminare o ridurre adeguatamente il dolore. In realtà, la morfina per via orale è bene assorbita, ma va incontro a metabolismo epatico di primo passaggio molto intenso prima di giungere, in concentrazione sufficiente, nei siti ove esercita il suo effetto
9. La posologia della morfina orale è difficile da definire
La definizione della posologia giornaliera appropriata della morfina orale per il trattamento del dolore cronico moderato-grave non abbisogna di formule complicate.
Sono richieste solo attenzione e cautela per definire il giusto dosaggio, che va rapportato all’intensità del dolore, alle condizioni cliniche del paziente (funzionalità degli emuntori, persone anziane, ecc.), ad eventuali farmaci analgesici in precedenza utilizzati, all’insorgenza di effetti indesiderati.
Non esistono quindi dosi standard predefinite ma la posologia deve essere individualizzata.
• In presenza di un paziente fino ad allora non trattato con farmaci analgesici oppioidi, il metodo più semplice è di iniziare con dosi molto basse di morfina a pronto rilascio e a breve durata d’azione (ad esempio, in soluzione orale: Oramorph® sciroppo o gocce), prevedendo l’assunzione di dosi extra qualora si manifesti esacerbazione del dolore (scheda 2). Esperti dell’OMS propongono una posologia iniziale da 10 a 30 mg di morfina ogni 4 ore, anche se è preferibile cominciare con la dose più bassa (Oramorph® 10 mg regolarmente ogni 4 ore e al bisogno per il dolore incidente).
[….]
Anche i pazienti anziani possono essere tranquillamente trattati con morfina senza particolari rischi, purché si ricordi che la farmacocinetica della morfina somministrata per via orale nell’anziano evidenzia una curva concentrazione- tempo di solito un po’ più elevata, e ciò in relazione a fattori legati all’invecchiamento dell’organismo. La clearance del farmaco tende a ridursi, i valori plasmatici possono aumentare e l’emivita può prolungarsi: per tali motivi la dose di morfina dotata di effetto antidolorifico e gravata da minori effetti collaterali è più bassa rispetto ai soggetti più giovani.
Ne consegue che la dose ottimale di morfina da somministrare nell’anziano può essere ridotta.
10. La morfina ha uno stretto range terapeutico
È un falso: per la morfina vale il contrario. Il dosaggio terapeutico della morfina presenta un range molto ampio e le dosi analgesiche efficaci possono variare considerevolmente da paziente a paziente, anche di 1.000 volte. In generale, la posologia giornaliera efficace nel controllo del dolore è bassa: pochi pazienti necessitano di dosi giornaliere superiori a 200-300 mg. Per ottenere un adeguato effetto analgesico certi pazienti possono tuttavia necessitare di dosi progressivamente maggiori, che vanno sempre rapportate alle necessità individuali.
11. L’effetto della morfina orale dura solo 3-4 ore
Come è stato riportato nel punto 9, l’affermazione è valida solo per la preparazione di morfina a pronto rilascio (Oramorph® soluzione orale). Con tale formulazione l’assorbimento è immediato e completo, la concentrazione plasmatica di picco si raggiunge di solito entro la prima ora dopo la somministrazione, l’effetto è molto rapido e l’analgesia perdura per circa 4 ore.
Tabella 2 - Criteri di scelta degli analgesici
12. Dosi ripetute di morfina orale possono determinare un accumulo nel sangue e quindi raggiungere livelli pericolosi
La morfina va incontro a glucuronazione a livello epatico ed intestinale, con formazione di morfina-3-glucoronide e morfina-6-glucuronide.
Quest’ultimo è il composto che contribuisce in modo determinante all’effetto antalgico della morfina, ma è anche responsabile di nausea, vomito e depressione respiratoria:
il suo livello può salire nell’organismo e diventare tossico solo in pazienti con insufficienza renale.
Tale eventualità è piuttosto remota in caso di buona funzionalità renale.
Anche in pazienti con tumori epatici primitivi o secondari il dosaggio di morfina deve essere attentamente monitorato. Soprattutto negli anziani, nei quali più frequentemente la funzionalità renale può essere ridotta, è fondamentale una corretta idratazione per permettere l’eliminazione della morfina dall’organismo e quindi evitare fenomeni di accumulo.
13. La morfina orale a lunga durata d’azione s’accompagna ad un aumento dell’incidenza e gravità degli effetti collaterali degli oppiacei
Rispetto alle formulazioni di morfina ad effetto immediato che determinano un rapido passaggio del farmaco nell’organismo, le specialità a lento rilascio presentano valori ematici che crescono più lentamente e regolarmente senza raggiungere picchi elevati.
L’assorbimento costante e continuo, se consente di mantenere un effetto analgesico di norma per 12 ore, induce anche una modifica positiva degli effetti collaterali (stipsiesclusa), in quanto raramente si osservano azioni tossiche legate alla rapida disponibilità del farmaco.
È importante che le compresse di Ms Contin® siano deglutite intere, senza frantumazioni o masticazioni in quanto ciò favorirebbe un assorbimento immediato e massiccio del principio attivo; le capsule contenenti i microgranuli di morfina (Skenan®) possono essere invece anche aperte e il farmaco somministrato sia per via orale, ad esempio con i cibi, sia mediante sondino nasogastrico.
14. Non è opportuno utilizzarela morfina insieme ad altri farmaci
Molte volte il quadro clinico del paziente con dolore cronico moderato-grave è complesso e necessita di una terapia di combinazione perché si raggiunga un buon risultato.
Ad esempio, in presenza di metastasi ossee, può essere utile associare alla morfina un farmaco antinfiammatorio non steroideo oppure un bifosfonato; in caso di compressione di un nervo è opportuno anche un corticosteroide; in altre situazioni, sono indicati altri adiuvanti.
15. La morfina deprime l’attività respiratoria
La depressione dell’attività respiratoria indotta da morfina e da altri oppioidi è quasi sicuramente l’effetto indesiderato più temuto, quello che in genere condiziona e frena il medico nella prescrizione di questo farmaco. Il sintomo è sempre associato a ridotto livello di coscienza.
Il timore è giustificato, ma è fortemente esagerato e sovrastimato.
Infatti, se la depressione respiratoria rappresenta la tipica causa di morte da sovradosaggio acuto di oppioidi nei tossicodipendenti, nella terapia cronica del dolore è rara e non rappresenta un pericolo reale.
È vero che il rischio potenziale esiste per tutte le preparazioni di morfina, anche per la forma orale, ma si verifica eccezionalmente in pazienti che seguono con attenzione i consigli del medico sulle modalità di assunzione e sul dosaggio nelle fasi iniziali e di mantenimento.
Anche i malati neoplastici con precedenti malattie respiratorie possono assumere con una certa tranquillità la morfina orale a lento rilascio; in presenza, invece, di gravi malattie debilitanti con ipossia e ipercapnia in atto,
la prudenza è d’obbligo in quanto si può aggravare la preesistente diminuzione della ventilazione polmonare.
È molto importante ricordare che la tolleranza agli effetti respiratori della morfina e derivati si sviluppa rapidamente e che il dolore agisce come antagonista fisiologico degli effetti depressivi sul SNC dei farmaci come la morfina. In altri termini, il dolore stimola i centri respiratori, mentre la morfina contrasta questa attività, ed è quindi possibile, fino a quando persiste il dolore, aumentare la posologia del farmaco con un accettabile margine di sicurezza.
Proprio sfruttando questi meccanismi la morfina è indicata nel controllo della grave dispnea nel paziente neoplastico terminale.
La controindicazione più importante è presente nel paziente con ipercapnia (sindromi ostruttive bronchiali,
enfisema) dove anche piccole dosi di morfina possono dare arresto respiratorio.
Nei casi di depressione respiratoria grave il fenomeno – del tutto eccezionale – può essere efficacemente controllato dall’antagonista della morfina, il naloxone
16. La stipsi impedisce l’uso di dosi adeguate di analgesici oppiacei
La stipsi è un effetto indesiderato del trattamento con morfina (o altri oppiodi) praticamente inevitabile, conseguente ad una azione diretta che il farmaco ha su recettori della parete intestinale. Tale effetto provoca rallentamento del transito e di conseguenza è favorito il riassorbimento di liquidi e la formazione di masse fecali di non facile evacuazione. La stipsi compare nella quasi totalità dei pazienti e può essere favorita da situazioni concomitanti (riduzione dell’introduzione di cibo e di bevande, immobilità prolungata, dolore accentuato dalla defecazione), per questo deve essere adeguatamente prevenuta e curata.
La gravità del fenomeno risiede nel fatto che questo effetto o va incontro a tolleranza molto lentamente o la tolleranza non si manifesta per nulla.
Il problema della stipsi non è di poco conto: se non adeguatamente trattata o meglio, prevenuta, può provocare sindromi subocclusive difficili da affrontare a domicilio.
In assenza di studi specifici, le modalità di trattamento si fondano di solito su basi empiriche. A misure igienicosanitarie che favoriscano la defecazione - apporto abbondante di liquidi, cibi ricchi di fibre o utilizzo di integratori a base di fibre naturali, attività fisica (quando possibile), condizioni confortevoli che garantiscano l’intimità nella defecazione, ecc. – conviene sempre associare l’uso profilattico di un lassativo (tabella 4), ad esempio una specialità a base di derivati della Senna. Sono sufficienti 2-4 compresse al giorno, in base anche al dosaggio della morfina, ma di solito è il paziente stesso che aggiusta il dosaggio in relazione alla risposta individuale.
Occorre cautela nei confronti di lassativi a base di lattulosio o di altri zuccheri non assorbibili, in quanto tendono ad aumentare la fermentazione intestinale, spesso causa di eccessivo meteorismo e quindi di ulteriori dolori di tipo colico e da distensione delle anse intestinali.
17. La morfina orale provoca sempre nausea e vomito, specie a dosi elevate, che obbligano
all’uso concomitante di antiemetici
Pur presentandosi con una certa frequenza, la nausea non si manifesta in forma sistematica e quasi sempre
tende ad essere transitoria, riducendosi progressivamente dopo 4-5 giorni dall’inizio del trattamento.
Se insorge vomito o la nausea è persistente, può essere utile la somministrazione di uno degli antiemetici abituali sin dall’inizio della terapia: metoclopramide, domperidone, aloperidolo (qualche goccia per via sublinguale) o clorpromazina. L’effetto sedativo di questi ultimi può talora essere di aiuto. Di solito è sufficiente somministrare l’antiemetico per pochi giorni e poi sospenderlo.
18. Sedazione, sonnolenza e ottundimento mentale sono effetti inaccettabili per i pazienti
Sono effetti collaterali che si possono verificare anche quando la morfina viene somministrata correttamente,
soprattutto se si tratta di persone anziane. Sovente si manifestano quando si inizia il trattamento, sono di solito transitori (un debito di sonno causato dal dolore ne è spesso la causa) e tendono a scomparire già a partire dalla prima settimana di somministrazione. È importante che il paziente e coloro che lo assistono ne siano preventivamente informati. Se la sonnolenza e l’ottundimento mentale dovessero persistere, può trattarsi di un sovradosaggio, e allora può rendersi necessaria una rivalutazione delle condizioni cliniche del paziente.
19. La morfina è un farmaco che dà tolleranza: occorrono dosi sempre maggiori e si rischia l’abuso
L’assunzione continuata di morfina può portare a progressiva tolleranza, vale a dire alla necessità di assumere dosi via via crescenti e incrementali del farmaco per mantenere gli stessi effetti e per non andare incontro all’insorgere della sindrome di astinenza. Tuttavia, la tolleranza di solito non è a rapido sviluppo quando il farmaco viene usato per il controllo del dolore; una volta raggiunta la dose di mantenimento, gli incrementi di dosaggio sono sporadici. Dati a disposizione indicano che la causa principale dell’aumento delle dosi è in relazione a un dolore che si fa più intenso, conseguente a sua volta alla progressione della malattia.
La tolleranza si sviluppa in tempi diversi in relazione all’effetto considerato, e può assumere valore positivo o
negativo. Ad esempio, la tolleranza alla depressione respiratoria, alla sedazione ed alla nausea (fenomeno positivo)si sviluppa rapidamente, mentre quella alla stipsi (negativo) molto lentamente, se mai si verifica.
La tolleranza agli effetti analgesici si presenta durante un trattamento cronico, ma raramente è un problema significativo sul piano clinico: infatti, non è un ostacolo al raggiungimento di un’analgesia ottimale e non giustifica un rinvio dell’uso precoce della morfina o di altri oppioidi.
20. La morfina è una sostanza che dà fenomeni di astinenza
I segni tipici della sindrome da astinenza da morfina (o altro oppioide) sono rappresentati da pupille dilatate,
rinorrea, ansia e irritabilità, irrequietezza, sudorazione intensa, lacrimazione, insonnia, palpitazioni, tremori e
dolori muscolari, pelle d’oca, ecc. Il problema dell’astinenza si pone essenzialmente per l’uso della morfina come droga a scopo voluttuario, in quanto nel soggetto in terapia antalgica con tale farmaco, specie se ad alte dosi, può insorgere solo in seguito a brusca riduzione della posologia, oppure a somministrazione di un antagonista degli oppioidi (es. naloxone). In definitiva, questo fenomeno non si sviluppa durante una terapia antidolorifica cronica con morfina, la cui somministrazione non dovrà mai essere interrotta in modo brusco.
21. La morfina è una droga pesante che dà dipendenza fisica e psichica
La dipendenza fisica è definita dall’insorgere di una crisi di astinenza dopo una brusca riduzione della dose oppure in seguito alla somministrazione di un antagonista degli oppioidi (es. naloxone). Lo sviluppo della dipendenza fisica si manifesta generalmente dopo trattamento regolare con morfina per più di qualche giorno.
La dipendenza psichica è una sindrome comportamentale e psicologica caratterizzata da un bisogno compulsivo e continuativo di morfina o dei suoi derivati. I risultati di alcuni studi evidenziano che lo sviluppo di tale dipendenza è estremamente basso, o praticamente nullo, in pazienti con sindromi dolorose da cancro.
Pertanto, l’affermazione che la morfina dà dipendenza fisica e psichica è vera per chi abusa della sostanza a
scopo voluttuario, in assenza di dolori; non ha senso se è utilizzata come analgesico da chi soffre di condizioni dolorose, per le quali si dimostra efficace e assai utile nella stessa misura in cui, ad esempio, l’insulina lo è per i diabetici o una statina per coloro che soffrono di ipercolesterolemia grave.
Infine bisogna sempre tenere presente quali pazienti sono trattati con la terapia morfinica: si tratta di malati con dolori severi per i quali i timori della tolleranza e della dipendenza dovrebbero essere un aspetto secondario del trattamento, da commisurare al significato reale negativo della persistenza di dolori insopportabili.
dossier
Per concludere
Tranne poche eccezioni, tutte le situazioni nelle quali il dolore moderato-grave non viene trattato efficacemente con il tipo e la quantità necessaria di farmaci analgesici derivano da uno o più dei fattori, impedimenti o pregiudizi in precedenza ricordati; questi di volta in volta dipendono da decisioni improprie dei pazienti, dei loro familiario dei medici, ma di fatto sempre peggiorano ingiustificatamente la qualità di vita residua di ammalati gravi e molto sofferenti. Ai pazienti forse non è correttamente spiegato che il dolore può essere attenuato o rimosso. I pazienti talora non denunciano fedelmente la condizione dolorosa, perché temono che essa sia il segno più evidente della progressione della malattia, o perché desiderano essere “buoni” pazienti non distraendo il medico dal trattare la condizione primaria all’origine del dolore, o per altri motivi. Alcuni, evidentemente male informati, rifiutano deltutto gli oppiodi o non li assumono nella posologia raccomandata perché temono di essere considerati tossicodipendenti.
Molti medici non sono stati formati adeguatamente e approfonditamente sul problema “dolore” e sul suo trattamento ottimale e si preoccupano invece al di là del ragionevole dei potenziali effetti indesiderati e della dipendenza da oppioidi piuttosto che della loro efficacia ed utilità. Ne consegue che il sintomo dolore troppo spesso non viene trattato con l’impegno terapeutico che gli sarebbe invece perentoriamente dovuto da parte di qualsiasi medico.
È del tutto evidente che un impiego razionale della morfina e degli altri farmaci analgesici può nascere da un’informazione migliore da dedicare al paziente che soffre e ai suoi familiari; all’uno e agli altri devono essere spiegati benefici, rischi ed effetti indesiderati della terapia antalgica praticata, così da convincerli e coinvolgerli in una strategia terapeutica condivisa.
Una conoscenza adeguata di tutta la problematica connessa al dolore è ovviamente indispensabile al medico, il quale oggi non ha scusanti se non sa affrontare con successo le situazioni purtroppo comuni che richiedono la diagnosi e il trattamento del dolore.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Master in Cure Palliative di I livello per Medici e Infermieri
Università del Piemonte Orientale
Coordinatore Polo Oncologico di Novara
Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” di Novara
tel. 0321 3733984 - poloncno@maggioreosp.novara.it
Master di II livello in Medicina Palliativa
attivato per l’a.a. 2003/2004
Università degli studi di Verona in collaborazione
con l’Università di Brescia
BUONE FESTE
5 anni fa